Abusivismo e autorizzazione paesaggistica in sanatoria

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Una società costruisce, su un terreno di sua proprietà, vicino al suo stabilimento produttivo, una costruzione abusiva di grandi dimensioni (circa 60 metri di lunghezza per 6 di larghezza).
Questo terreno è classificato come area produttiva, ma per buona parte è sottoposto a vincolo ambientale.
Un articolo delle NTA del PRG ammette nelle zone produttive l'aumento fino al 10% della superficie coperta esistente alla data di adozione del PRG stesso, ma previa stipula di una convenzione con il Comune che preveda, fra le altre cose, "miglioramenti qualitativi dell'insediamento produttivo quali la riduzione dell'impatto ambientale nonché la cessione di aree o la realizzazione di opere finalizzate all'interesse pubblico"…

Inevitabile la sospensione dei lavori, e il tentativo di una domanda di sanatoria, il suo successivo diniego e, quindi, l’ordine di demolizione. Le cose sarebbero potute andare diversamente?

In questo caso (TAR Brescia, n. 371/08, che potete scaricare gratuitamente dalla pagina Natura Giuridica/Paesaggio, il giudice interpellato ha ricordato che la vigente normativa sull'autorizzazione paesistica è particolarmente severa, perché esclude la sanatoria ambientale per le opere non preventivamente assentite, con l'eccezione di alcune fattispecie che, tuttavia, sono marginali. La finalità della norma, infatti, è di costituire un più solido deterrente contro gli abusi dei privati.

Prima l’Amministrazione poteva scegliere fra la remissione in pristino e il pagamento di un risarcimento ambientale (da individuare nel maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito dal trasgressore): in sostanza, il regime previgente riconosceva un certo rilievo al fatto compiuto (l’opera abusiva) alterando i rapporti di forza tra la parte pubblica e quella privata a favore di quest'ultima.
Oggi, invece, il regime attuale fa prevalere l'interesse pubblico a un'utilizzazione controllata (e quindi preventivamente assentita) del territorio caratterizzato da valori o fragilità ambientali.

Nel caso concreto, prosegue il giudice, si devono confrontare unicamente l'interesse pubblico all'utilizzazione controllata del territorio e l'“interesse” del privato alla sanatoria.
Normalmente, l’interesse pubblico prevale su quello privato, e lo stato dei luoghi deve essere ripristinato.
Però la situazione può cambiare, a favore del privato, se la sanatoria corrisponde anche a un differente e ulteriore interesse pubblico, che si affianca a quello privato: questa ipotesi si verifica, ad esempio, quando dall'attività edilizia oggetto di sanatoria derivi, direttamente o indirettamente, in via convenzionale, per atto unilaterale d'obbligo o sulla base di una previsione dello strumento urbanistico, un vantaggio ambientale, che può avere molteplici contenuti, purché sia apprezzabile in modo distinto rispetto alla semplice modificazione dello stato dei luoghi apportata dal privato.
Sotto questo profilo si può ritenere che tanto l'assunzione di oneri da parte del privato per migliorare le infrastrutture pubbliche o gli standard urbanistici quanto l'impegno del privato a svolgere un'attività produttiva già insediata secondo criteri ispirati a una maggiore sensibilità ambientale consentano di superare il rigido rapporto di anteriorità tra l'autorizzazione paesistica e l'attività edificatoria.


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